Il lavoro cooperativo, lavoro “insieme”, è anche partecipazione. In agricoltura vuol dire stringere un legame sempre più forte tra città e campagna. E contribuire al benessere di tutti
Qualche giorno fa, mentre passeggiavo nei campi e osservavo la natura che mi circondava, il pensiero è corso alla situazione di crisi che il mondo sta attraversando da anni e mi sono chiesto quanto possa aiutare creare un ambiente sano e produrre alimenti biologici. Come mai, nonostante la crisi, i cittadini pongono sempre più attenzione al cibo e a un’alimentazione corretta e organoletticamente nutritiva? Qual è la relazione fra cibo, agricoltura, ambiente e lavoro? Forse l’essere umano per stare davvero bene ha bisogno di tutte queste cose assieme?
Io credo proprio di sì. Se ognuno prendesse consapevolezza di questa correlazione fra cibo, agricoltura e lavoro potrebbe maturare una nuova coscienza per affrontare, anche attraverso il semplice gesto di alimentarsi, un nuovo modo di convivenza civile.
Il lavoro cooperativo, lavoro insieme nel suo significato originale, è partecipazione: coltivare ortaggi, frutta, mais per polenta o grano per pane e rendersi conto dell’importanza che questi frutti hanno nella vita di ogni persona significa prendere coscienza e conoscenza che l’agricoltura è uno strumento che offre ai cittadini la grande possibilità di gestire il proprio territorio e attraverso questi gesti crea lavoro e cooperazione. Se ogni cittadino che abita in una metropoli riuscisse attraverso il cibo a conoscere le storie e i gesti che stanno dietro l’alimento di cui ha bisogno, annullerebbe la distanza che ora sembra incolmabile fra campagna e città. Se l’agricoltore diventasse promotore culturale e trasmettesse informazioni al cittadino, non otterrebbe solo una vendita consapevole, ma troverebbe nel cliente un alleato nella conservazione della sovranità alimentare, oggi a rischio in molti Paesi del mondo.
Il cibo può essere uno strumento culturale di cambiamento! Avete mai pensato al “posto di lavoro di qualcuno” quando mangiate? Vi siete mai chiesti quali e quanti siano gli individui che possono avere un ruolo professionale, di dignità sociale o economica dietro al semplice gesto di alimentarsi? Siamo soliti pensare al ruolo indispensabile di un bravo medico piuttosto che di un bravo insegnate, senza dubbio socialmente importanti, ma anche l’agricoltore che fornisce cibo sano e biologico ci aiuta ad avere una vita migliore. Se cooperiamo nella catena alimentare in modo costruttivo, possiamo prevenire e non curare.
Quando noi coltiviamo l’insalata piuttosto che il grano, il nostro primo pensiero è il rispetto della terra e dell’ambiente che ci circonda e per questo coltiviamo con il metodo dell’agricoltura biologica che non utilizza sostanze chimiche di sintesi; ma nello stesso momento ci preoccupiamo che questo prodotto sia buono, sano e accessibile economicamente a chi ne ha bisogno. Inoltre le persone che accudiscono e coltivano sono partecipi e consapevoli dei gesti che fanno, sanno che da questo lavoro derivano il loro stipendio e la loro autonomia professionale, civile ed economica.
Il prodotto non è una merce anonima che si carica su un furgone e si consegna, ma è un oggetto di primaria importanza per un altro cittadino di pari dignità. In questo modo, attraverso il cibo e l’alimentazione, nascono cooperazione e partecipazione informata alla gestione dei beni comuni. Chi non coltiva può avere lo stesso ruolo di noi agricoltori, perché se conosce ciò che mangia, i posti di lavoro che sostiene, il territorio e l’ambiente che contribuisce a gestire, smette di essere un semplice consumatore ed entra a far parte di un circolo virtuoso insieme agli altri attori della filiera alimentare in un processo indispensabile e non delegabile ad altri che è la produzione del nostro cibo. È possibile diventare parte di una comunità che con i piccoli gesti di tutti i giorni, come il mangiare, contribuisce alla diffusione di un modello di produzione partecipato dove i valori sono la qualità di vita e il rispetto dell’ambiente, degli animali e dell’uomo. L’industria alimentare deve diventare un anello funzionale a questo modello di produzione e non, come succede oggi, essere il soggetto che ne determina le regole imponendo i prezzi all’agricoltore così come la grande distribuzione li impone al consumatore.
Solo se come cittadini ci rendiamo conto del nostro ruolo possiamo cambiare le regole di mercato in modo reale, creando un sistema che dia lo stesso valore alla terra e al lavoro inteso come dignità e realizzazione della persona.
Il cibo cosi inteso è strumento di transizione verso un cambiamento civile e di convivenza pacifica, se tutti gli attori prendono coscienza del loro ruolo attivo e non passivo. Non siamo consumatori ma attori cooperatori.