A Colle Val d’Elsa, tra agricoltori e allevatori biologici, vignaioli biodinamci e botteghe eque. Una filiera del gusto, capace di tutelare la biodiversità e il territorio
Da un lato della piccola piazza -intitolata a Bartolomeo Scala, politico del ‘400 e figlio di un mugnaio- c’è la biosteria Sbarbacipolla, spazio di “cucina naturale a basso impatto ambientale” aperto nell’aprile del 2011; a due passi, sul lato opposto, “Il buono della terra” è uno spaccio agricolo dove trovano casa le piccole aziende bio della Valdelsa. Siamo a “Colle bassa”, com’è chiamata la parte inferiore della cittadina di Colle Val d’Elsa -21.500 abitanti in provincia di Siena-, dove la piazza torna a essere il luogo dello scambio e della relazione, il centro nel quale confluiscono le risorse del territorio. Osteria e spaccio agricolo, infatti, racchiudono nel raggio di pochi metri la storia dei progetti virtuosi della Valle attraversata dal fiume Elsa, diventando una vetrina privilegiata per queste filiere produttive.
Per conoscerle, iniziamo entrando da Sbarbacipolla, dove biodiversità e creatività si sposano nell’originale proposta dei giovani gestori: Chiara Salvadori, in sala, e Nicola Bochicchio, ai fornelli. Il nome scelto per il locale è un richiamo alla tradizione rurale del territorio, all’ultima sfida di “sbarbacipolle”, com’era chiamato un antico gioco popolare. “Ci piaceva riprendere questo nome, perché ha un forte legame con la terra e allo stesso tempo parla dell’informalità conviviale che sta alla base del nostro locale”, spiega Nicola, 34 anni e una passione per la cucina trasformata in lavoro. “La nostra proposta vuole essere accessibile a tutti -sottolinea-: difendiamo il diritto a un cibo sano che, se cucinato con sapienza e secondo le stagioni, può avere un prezzo equo”. Anche la scala di legno appesa al muro, per arrampicarsi a scrivere il menù del giorno sulla grande lavagna d’ardesia, “è un richiamo al mondo contadino e alla semplicità rurale” che -con un po’ di fantasia o un bicchiere di buon vino- può condurre, ad esempio, “al pollaio o in colombaia”, suggerisce Chiara. In osteria oltre a Chiara e Nicola lavorano tre persone (un contratto a tempo indeterminato e due a chiamata) tra i 18 e i 39 anni. Ma un aiuto fondamentale in cucina viene anche dalle mamme: “I nostri produttori stanno quasi tutti entro un raggio di 50 chilometri, poi ci sono i parenti che non abitano oltre i 20 chilometri”, scherza Chiara. E così, la pasta è lavorata a mano tutti i giorni, con farine toscane macinate a pietra, e gli ingredienti scelti con cura tra le aziende agricole del territorio. Il menù -che cambia ogni giorno, da qui la scelta di usare la lavagna per comunicare le proposte della cucina, anziché far spreco di carta- si compone prevalentemente di piatti vegetariani, ma Nicola non rinuncia a preparare anche della carne, con l’attenzione a usare sempre le parti meno nobili degli animali e affidandosi solo ad allevamenti biologici. Tra questi, la Tenuta di Spannocchia (a Chiusdino, www.spannocchia.org), che trasforma la cinta senese bio secondo le tradizioni locali, e quella dell’Uccellina -400 ettari nel Parco della Maremma a Magliano in Toscana (Gr, www.tenutauccellina.it)-, dove il ristorante acquista la maremmana.
Sbarbacipolla è co-produttore di buona parte degli ortaggi che usa in cucina: insieme a due piccoli agricoltori biologici di Colle programma la semina (da sementi autoriprodotte e autoctone) di stagione in stagione. Per alcuni prodotti, il ristorante si rifornisce da tre grossisti -due toscani: “Sapori di Toscana” di Monteriggioni (Si) e Biostock di Campi Bisenzio (Fi), e l’emiliano “Baule volante” di Castel Maggiore (Bo)-; polli e conigli vengono dall’azienda San Bartolomeo di Vetralla (Vt), che alleva gli animali in libertà. A parte queste eccezioni, i principali fornitori sono una ventina di piccole aziende agricole situate a poca distanza dal ristorante (la lista completa è pubblicata nel sito dell’osteria). Come la piccola azienda Officinalia -5 ettari di terra a San Gimignano (Si)- che fornisce miele da apicoltura stanziale, succhi di frutta naturali, yogurt e formaggi ottenuti dalla lavorazione a crudo del latte di Gaia, la sola mucca dell’azienda.
Molte altre materie prime sono letteralmente a portata di mano: Chiara e Nicola li acquistano nel punto vendita “Il buono della terra”, inaugurato lo scorso settembre. Nei 60 metri quadri (affittati a 450 euro al mese) messi a disposizione dall’associazione “Amici della terra” della provincia di Siena (www.amicidellaterra-provinciasiena.it) una decina di aziende agricole locali -coordinata dall’associazione- gestisce direttamente la vendita di prodotti da agricoltura naturale, facendo a turno durante la settimana, nei tre giorni di apertura, per avere un piccolo spazio all’interno del locale. “L’idea nasce dall’esperienza del Mercatale della Valdelsa per facilitare la relazione diretta tra produttori e consumatori, e trovare uno sbocco per gli ortaggi delle aziende del territorio”, spiega Lucia Aristei, dell’associazione Amici della terra. Ma “il buono della terra” non viene soltanto dagli ortaggi: al mercato si possono trovare anche frutti, formaggi, pasta e pane, conserve, carne, farine, legumi, prodotti del commercio equo (grazie a una collaborazione con la bottega senese “Mondo mangione”, www.mondomangione.it), detersivi ecologici e un distributore di latte alla spina. Il mercato è diventato anche la sede di appoggio di un gruppo d’acquisto solidale di 30 famiglie: gli ordini in corso sono comunicati in una piccola lavagna, che -quando visitiamo lo spaccio, nel mese di novembre- recita “Mele di Fontecornino”, un’azienda biologica di Montepulciano (Si, www.fontecornino.it), 11 ettari di terra per 12 varietà di mele.
Al mercato, il giovane Giovanni Cerrano -che coltiva 5 ettari a Colle Val d’Elsa- spunta da dietro un piccolo tavolino dove stanno in bilico tante pagnotte di diverse forme: tutto il suo pane è impastato con il lievito madre e antiche varietà di cereali toscani, e cotto in un forno a legna di Montalcinello Chiusdino (Si). “Questo contiene 15 tipi di grani diversi -dice mostrandoci un pane rotondo e scuro-: il più giovane è del 1915, il Senatore Cappelli”, e Giovanni lo vende a 4 euro al chilo. Con altri 10 piccoli fornai artigianali -“ognuno di noi non produce più di 30 chili di pane alla settimana”, dice- Giovanni ha fondato l’associazione “Al di là del pane”, che sta recuperando e rimettendo in sesto a proprie spese (3mila euro il costo dei lavori) un vecchio forno a legna nella parte alta di Colle. Da gennaio l’associazione l’avrà in gestione in affitto (con un canone di 200 euro al mese) per metterlo a disposizione dei fornai, a rotazione. Quando non è il turno di Giovanni, al mercato di piazza Bartolomeo Scala c’è Luciano Di Giorgi, del forno “L’antico pane a legna” di Monteriggioni (Si), che da vent’anni sforna pane a lievitazione naturale con farine biologiche da grani antichi di coltivazione locale. Un’arte che Luciano e il “maestro panificatore” Antonio Lamberto Martino condividono in occasione degli incontri (che sono gratuiti, per un massimo di 15 persone) della scuola di formazione professionale “Laboratorio in corso” (www.laboratorioincorso.com), ogni quarta domenica del mese a Colle Val d’Elsa: allora la sede de “Il buono della terra” si trasforma per un’intera mattinata in un’aula aperta dove scambiare conoscenze sulla panificazione e pratiche d’impasto, paste madri e farine di antichi cereali.
Il risultato? Un pane profumato ed “equilibrato”, per l’apporto di proteine delle varietà più antiche di cereali, che si può acquistare direttamente al mercato, o gustare seduti da Sbarbacipolla. I pani di Giovanni e quello di Luciano, infatti, arrivano sulle tavole del ristorante insieme agli altri prodotti de “Il buono della terra” ogni sera quando, a fine giornata, Chiara acquista le rimanenze del mercato, che troveranno buon uso nella cucina dell’osteria. “Questo aspetto ci sembra molto importante -sottolineano Chiara e Lucia, dell’associazione Amici della terra-, perché la vicinanza tra il ristorante e lo spaccio de ‘Il buono della terra’ ci permettono di evitare sprechi e valorizzare tutti i prodotti delle piccole aziende del territorio, anche quelli che resterebbero invenduti”.
Da Sbarbacipolla coperto, servizio e pane non hanno prezzo (sono gratuiti tanto quanto i sorrisi, come informa un’altra piccola lavagna appesa al muro), mentre c’è da perdersi nella carta dei vini da agricoltura naturale. “Per sostenere le loro produzioni di qualità, teniamo le bottiglie di tutti i piccoli vignaioli dei dintorni di Colle Val d’Elsa”, dice Nicola. Tra questi, l’azienda biodinamica Colombaia (www.colombaia.it), in località Mensanello, prende il nome dalla colombaia sulla collina dell’azienda: “Una volta qui c’erano i colombi, messaggeri che tornavano sempre dove erano nati”, spiega Helena Variara -un passato da consultente a Milano- accompagnandoci in vigna. “San Francesco, già Colombaia”, si legge sulla casa, datata 1700, dietro le foglie dell’edera rossa d’autunno. La proprietà gestita da Helena con il compagno Dante Lomazzi è di 10 ettari -la casa, più 4 ettari di terra a Sudovest e altrettanti volti a Nordest- e sorge su un poggio dove “un tempo c’era il mare”, Helena prende un po’ di terra tra le mani, mostrandoci piccoli frammenti fossili e resti di conchiglie. Le radici dei vigneti raggiungono la profondità di queste terre emerse: le vigne vecchie (3 ettari) hanno 40 anni e sono state ripiantate negli anni 70 quando la famiglia Lomazzi rilevò la proprietà; la vigna nuova (1 ettaro) è stata ripiantata nel 2005. “Sono tutti uvaggi autoctoni di Sangiovese, lavorati in simbiosi con la natura”, dice lei.
A cambiare è l’età della vigna e il tipo di pianta (ce ne sono 5 di diverse), ma i frutti non sono mai mescolati: la vinificazione, infatti, è fatta per parcelle. “La terra l’ascoltiamo, prima di lavorarla”, un’attenzione che si traduce nel metodo di coltivazione biodinamico; Colombaia fa parte della rete francese di vignaioli biodinamici Renaissance des appellation (che ha una sezione italiana, www.renaissance-italia.it) e dell’Association vin naturel France, nata negli anni 70. Certificata Demeter dal 2007, l’azienda ha scelto di declassare la vigna Doc (denominazione di origine controllata) Chianti in Igt (Indicazione geografica protetta): “Per ribellarci al sistema che continua a conformare i prodotti artigianali a quelli industriali”.
Basta guardare dall’altra parte della collina, per capire cosa intende Helena: lo sguardo si apre sui 93 ettari di una delle 7 tenute Ruffino. L’azienda vitivinicola fondata nel 1877 a Pontassieve (Fi) possiede in tutto 1.500 ettari, di cui 600 piantati a “vigneti di moderna concezione” -come si legge sul sito- e dal 2011 è di proprietà del gruppo statunitense Constellation brands, multinazionale di produzione e commercio di vini (2,6 miliardi di dollari il fatturato di Cb nel 2011).
Tornando su questo poggio della collina, entriamo nella cantina di Colombaia per assaggiare la piccola produzione (10mila bottiglie l’anno) dell’azienda. “Siamo biodinamici in vigna e talebani in cantina -sorride Helena-. Usiamo solo lieviti naturali e aggiungiamo pochissimi solfiti per proteggere il vino in viaggio”. Il 90% della produzione, infatti, è venduta all’estero: “Una contraddizione per la nostra piccola realtà, ma che si scontra con l’assenza di una cultura del vino in Italia”. Sbarbacipolla è uno dei soli 3 ristoranti italiani dove le bottiglie di Colombaia trovano spazio: il vino è venduto in osteria a 3 euro il bicchiere; le bottiglie costano dai 15 ai 20 euro l’una.
Qui la colomba che decora con eleganza le etichette delle bottiglie, prima di posarsi nel bicchiere, vola tra le creazioni dei piccoli artigiani della zona, che sono in vendita nel locale: le lampade, disegnate da Chiara, e realizzate da un artigiano di Colle, o i tavoli -nessuno è uguale all’altro- confezionati con legni di scarto, opera dell’artista Salvatore Poma (www.salvatorepoma.it). È Chiara -che a Colle alta ha una sua bottega d’arte, “Salvadori”-, in particolare, a occuparsi dell’arredamento del locale, usando “materiali di recupero per oggetti contemporanei che evocano il mondo contadino con il quale ci relazioniamo tutti i giorni”.