Secondo uno studio FAO, latte e latticini possono migliorare il sostentamento delle famiglie più povere nel mondo, ma i governi dovrebbero sostenere i piccoli allevamenti
Per combattere la fame nel mondo si passa anche da latte e latticini. Lo scrivono Ellen Muehlhoff, Anthony Bennett e Deirdre McMahon, esperti FAO che hanno curato la pubblicazione “Latte e prodotti caseari nella nutrizione umana” (www.fao.org/docrep/018/i3396e/i3396e.pdf). Secondo lo studio, questi prodotti potrebbero migliorare la nutrizione e il sostentamento di persone che nel mondo vivono in condizioni di povertà: "inseriti in una dieta equilibrata, possono essere una fonte importante di energia alimentare, di proteine e di grassi -afferma Muehlhoff, esperta FAO di nutrizione-; sono anche ricchi di micronutrienti fondamentali per combattere la malnutrizione nei Paesi in via di sviluppo, in cui le diete delle popolazioni povere sono spesso basate esclusivamente su cereali e carboidrati".
La FAO stima che, nel mondo, circa 150 milioni di famiglie -quasi 750 milioni di persone, la maggior parte delle quali vive nei Paesi in via di sviluppo- producano latte e latticini. Entro il 2025 il consumo di prodotti caseari in questi Paesi aumenterà del 25%, anche se saranno ancora inaccessibili –perché troppo costosi- per le famiglie più povere.
Per questo motivo, secondo gli autori, i governi dovrebbero sviluppare politiche inclusive e incoraggiare investimenti del settore privato, per aiutare i piccoli agricoltori a sfruttare la crescente domanda di latte e latticini nei Paesi in via di sviluppo.
“L'allevamento su piccola scala è particolarmente vantaggioso per le famiglie povere –spiega Anthony Bennet, esperto FAO di zootecnica- poiché non fornisce solo cibo e sostanze nutritive, ma anche un reddito regolare”. Latte e latticini sono infatti prodotti venduti ogni giorno, mentre “fare agricoltura su piccola scala significa essere pagati una o forse due volte l'anno”.
Come si legge nella pubblicazione, il termine 'latte' è ormai assimilato a quello vaccino, ma nel mondo viene consumato latte proveniente anche da bufale, asine, lama e alpaca, specie sottoutilizzate nella produzione lattiero-casearia. Le capre, ad esempio, sono più facili da mantenere rispetto ai bovini e, anche per questo motivo, possono far aumentare l'accessibilità alla produzione di latte per le famiglie rurali più povere. Il latte di asina e quello di cavalla permettono di godere dei benefici nutrizionali del latte anche a quella parte della popolazione mondiale (stimata tra il 2 e il 6%) allergica a quello di mucca. Scrivono inoltre gli autori che il latte di alci e renne è ricco di grassi e proteine e, contenendo meno della metà del lattosio presente in quello di mucca, può essere consumato anche dalle persone intolleranti al lattosio.
Lo studio affronta inoltre anche problemi ambientali (“la produzione lattiero-casearia è responsabile del 4% delle emissioni di gas serra, per cui servono sforzi per ridurre l’impatto ambientale”) e di tipo sanitario, “che non sono legati specificatamente al consumo di prodotti caseari quanto all'eccessivo consumo di cibi ipercalorici in generale”. Secondo Ellen Muehlhoff esistono inoltre prove che dimostrano l’efficacia di latte e latticini nel prevenire alcune malattie legate alla dieta, come il diabete di tipo 2, malattia metabolica caratterizzata da glicemia alta e deficit di insulina.
In Italia sono circa 50mila le aziende di allevamento bovino da latte –questo il dato riportato dal censimento dell’agricoltura dell’Istat, pubblicato nel 2011- il 65% delle quali si trova a Nord. Nel 2012 hanno prodotto quasi 11 milioni di tonnellate di latte, il 41,5% solo in Lombardia.