La strada intrapresa da 450 Gruppi di acquisto solidale censiti in Lombardia all’interno della ricerca “Dentro il capitale delle relazioni”, condotta da Francesca Forno e Silvia Salvi
“Non cambiare stile di vita, cambia supermercato”. È semplice il messaggio pubblicitario trasmesso sui canali televisivi dalla catena Lidl, parte di un grande gruppo tedesco operante nella grande distribuzione. Ed è altrettanto semplice la strada intrapresa da 450 Gruppi di acquisto solidale censiti in Lombardia all’interno della ricerca “Dentro il capitale delle relazioni”, condotta da Francesca Forno e Silvia Salvi per conto dell’Osservatorio Cores e dell’Università di Bergamo in collaborazione con il Tavolo nazionale Res, presentata lo scorso 25 marzo. Una strada che è capovolge il paradigma/slogan firmato Lidl, abbandonando il supermercato per cambiare il proprio stile di vita.
Ripercorrendo la linea del tempo costruita in base alla data di nascita di ciascun gruppo di acquisto -quelli che hanno partecipato allo studio sono 193- ci si rende conto dell’esplosione che si è verificata negli ultimi sei anni. Tra il 1993, quando vede la luce il primo, e il 2007, i gruppi raggiungono le 75 unità. Da allora, la cifra è più che raddoppiata, fino a quota 185. Incrociando le risposte contenute nei questionari si possono anche stimare le dimensioni medie di ogni realtà, dove i nuclei familiari che compongono i Gas che si attestano tra i 21 e i 40 rappresentano il 44,8% del totale; 34,4% quelli tra l’1 e i 20, 10,4% tra i 41 e i 60 e identica percentuale per quelli superiori ai 60 nuclei.
La ricerca si concentra poi sul profilo socio-economico del gasista medio. Più di un terzo degli intervistati risulta laureato, sei su dieci sono occupati in posizione impiegatizie, il 93,7% partecipa al mondo dell’associazionismo. Inoltre, il reddito familiare medio si posiziona per il 56% dei casi tra i 2067 e i 3615 euro. Ma è scandagliando tra le motivazioni che muovono il gasista medio che si percepisce la distanza siderale tra lo slogan di cui sopra e un modello basato sul “capitale delle relazioni”. Solo 48 soggetti su 100 scelgono il Gas per motivi legati al mero “risparmio”, mentre il 79,6% sceglie questa via per sostenere i piccoli produttori. Il 63,7% lo fa per “costruire relazioni” e per dar seguito alla “voglia di partecipare” mediante un’azione concreta.
Anche l’indicatore “spesa” segna un solco tra il gasista e il consumatore del supermercato.
I prodotti più acquistati sono il formaggio, la farina, la frutta, la pasta, l’olio, la verdura e i detersivi. Quelli di minor appeal sono i dolciumi, il pane e la carne, specialmente quella bianca. I fattori che ne determinano l’acquisto, ancora una volta, dipendono dalla qualità, dalle caratteristiche del produttore e dall’impatto ambientale. Solo dopo giunge il prezzo, che comunque è tenuto in considerazione.
Un fattore, quello del prezzo, che incide ancora meno nella scelta fatta dal Gas durante la selezione dei produttori (34,7%). Nulla a che vedere rispetto alla qualità (97,7%), l’impatto ambientale (85,5%), le relazioni con il produttore stesso (84,9%), la prossimità (o chilometri zero) al pari del rispetto dei lavoratori (82,4%).
Andando oltre la spesa e il gasista emergono interessanti tendenze in merito a come i Gas si rapportano al proprio interno (con una scarsa capacità di rinnovare i ruoli, va annotato) e all’esterno. Mentre sei gruppi su dieci si spendono per organizzare iniziative rivolte alla cittadinanza, sette gruppi su dieci non si confrontano con le istituzioni, a conferma della distanza e del ritardo che contraddistinguono buona parte del ceto politico e amministrativo lombardo e italiano.
Ecco la ricerca che contiene i dati anticipati.