La natura e le donne sono state storicamente le principali fornitrici di cibo nell’agricoltura naturale, basata su flussi sostenibili di fertilità, dalle foreste agli animali ai prodotti agricoli.
Il paradigma maschilista nella produzione alimentare (“rivoluzione verde”, agricoltura scientifica, etc.) implica la rottura di quei legami essenziali tra silvicoltura, allevamento e agricoltura che sono alla base del modello agricolo sostenibile. Dall’idea di agricoltura, come processo di nutrimento del suolo per mantenere la capacità di produrre cibo, si è passati al concetto maschilista per cui l’agricoltura è un processo generatore di profitti. Stanley elenca le seguenti invenzioni in agricoltura attribuite alle donne: l’impiego delle ceneri come fertilizzante, la creazione di arnesi da lavoro (zappa, vanga, badile, aratro semplice), il maggese e la rotazione delle colture, la produzione dello strame, i terrazzamenti, il bordare di alberi i campi coltivati, l’irrigazione e il recupero dei suoli piantando alberi. Inoltre, sempre secondo Stanley, sono state le donne ad iniziare la coltivazione dei cereali più importanti: frumento, riso, mais, orzo, avena, miglio. La distruzione a livello mondiale del sapere agricolo femminile, sviluppatosi in 5 millenni, ad opera di un gruppo di scienziati di sesso maschile, non ha semplicemente violato la conoscenza femminile, ma ha parallelamente annientato i processi ecologici e rovinato le popolazioni rurali più povere. La causa del crescente sottosviluppo che colpisce le donne e i contadini dei paesi più poveri non è stata quindi l’insufficiente e inadeguata “partecipazione allo sviluppo”, bensì la loro partecipazione forzata e asimmetrica, per cui essi ne hanno sopportato i costi senza condividerne i benefici. La crescita economica è stata un nuovo colonialismo, che ha prelevato le risorse proprio da coloro che ne avevano maggior bisogno. Il ritorno ad un’agricoltura sostenibile non può prescindere quindi dalla figura femminile, né dall’abbandono del principio della massimizzazione del profitto come unico obiettivo. Personalmente, penso che il percorso per ridurre il divario di genere e valorizzare la produttività femminile non debba essere tanto quello di rendere paritario l’accesso a strumenti creati dalla scienza patriarcale (tecnologie, credito, etc.), quanto quello di sviluppare un rapporto diverso con gli animali e con la terra, al fine di ristabilire gli equilibri antecedenti la “rivoluzione verde”. Sarebbe antitetico per le donne ricercare la parità di genere all’interno del modello patriarcale, proprio mediante l’acquisizione di quegli strumenti che le hanno estromesse dal sistema produttivo. Concludendo, ritengo che l’obiettivo delle donne debba essere quello di smantellare tale sistema riduzionista e maschilista, ricostituendosi come fulcro di quell’attività produttiva ecosostenibile che ha permesso la millenaria conservazione dei cicli naturali. Bibliografia: - J. Bové, F. Dufour, Il mondo non è in vendita, Feltrinelli, Milano, 2000; - V. Shiva, Terra madre, Utet, Torino, 2002; - Id., Il bene comune della terra, Feltrinelli, Milano, 2006.